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Ulisse
condannato alla leggenda


In pieno Oceano Atlantico quello che vedevamo in lontananza aveva poche possibilità di essere un’antica trireme. E invece lo era. Una nave in legno con vela curviforme pochi uomini a bordo dotata anche di remi. Sei-sette uomini sulla stiva e uno in grande evidenza a prua, anzi a prora come si addice a questo tipo di imbarcazione. 
Non chiedevano aiuto. Non erano neanche interessati a noi, però facevano sensazione. Ci avviciniamo: Ehi voi! Serve aiuto? La risposta con una lingua incomprensibile sembrava più mandarci a quel paese che chiedere sostegno. Fin quando uno di noi si accorge che quello strano linguaggio è greco antico, quasi incomprensibile anche a un grecista. Da allora la sua conversazione è tradotta. 
Chi siete? Da dove venite? 
“Greci fummo e siamo. Una maledizione ci condannò fuori dalla nostra terra, Ithaki!
La storia era troppo importante per non risuonare qualcosa di infinito per cui mi faccio da parte e chiedo al traduttore, come fu Virgilio con Dante, di formulare io le domande.
“Lascia parlare me. Ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perché fuori greci, forse del tuo detto” 
(da Dante Alighieri, Inferno, XXVI, 73-75) 
Voi, usi a navigare in questo mare, avreste buona vostra at illuminare la buona stella per l’Esperia bella che giungerà a noi buona novella?
“Parlate a noi di patria? Sapete qual è la nostra speme? Trovare l’uragano che in terre alte preme”
Ma una voce dell’uomo prima a prua si sentì dal fondo. 
“Voi parlate di eterno ritorno e viaggi, cosa sapete voi di sempiterni maggi?”
L’uomo che uscì dalla stiva, molto magro, dalla pelle arsa sembrava visibile ogni nervo ed anche la più piccola vena. La barba, non lunga, non appariva incolta, come se ogni particolare dell’aspetto dell’uomo che avevamo di fronte fosse espressione della sua volontà. Età indefinibile. Poteva essere un vecchio quarantenne come un sessantenne d’assalto. Era chiaro che non apprezzava di esser stato còlto. Era sempre stato lui a colpire o entrare nella vita delle persone in modo inaspettato. Mentre parlava non perdeva mai di vista il mare come se l’ispirazione venisse da lì. Solo in brevi momenti cercava gli occhi del suo interlocutore fissandolo con lo scuro delle sue cornee dal quale non traspariva la minima emozione. D’altra parte sembrava risucchiare tutto di te. A quel punto non so più se stavo parlando con un uomo o con un dio.
Ci siamo persi! – (Dissi, pensando che la parte degli erranti potesse muovere a compassione il leggendario).
“Non è vero – la risposta secca – Voi mi stavate cercando. E sia. Mi avete trovato. Sono Ulisse”.
Ulisse? Proprio lui? Ma lo sa che lei è un modello per l’umanità?
“Non io, un modello. Ma i poeti che hanno cantato le mie gesta per come gli furono raccontate. Mi creda. Chi mi prende a modello è perché ha paura di me o perché vorrebbe avermi ucciso e concludere le storie in modo diverso”.
Lei però ha vinto tutti. Gli imbattibili troiani, il ciclope, la dea Calypso, la maga Circe, i proci…
“Oh, che noia! Storie di cui ero riuscito quasi a dimenticare tutto. E comunque non è con l’adulazione che avrà la mia amicizia. Anche in mare. Anche se in questa barca ci fossimo noi due soli”.
Era solo una premessa per chiederle. Qual è il suo metodo, la sua tattica?
“Santi dei! Ma quale metodo e tattica, vuole capire che ogni volta era lotta per la sopravvivenza?”
Non sfugga, anche se così fosse, a differenza del grande Achille, lei è riuscito a non soccombere mai! (Questa di Achille era andata a segno. Nel suo sguardo leggermente piegato e nel ghigno mi apparivano cenni di umano orgoglio).
“E già il grande Achille fu ammazzato da un cretino il cui unico vanto era aver preso un’etèra, moglie di un re della città più guerriera del mondo, ed averla portata a casa. E noi tutti a fare una guerra di dieci anni sotto le mura invincibili di Ilio per riscattare l’onore di questo re. Scherzi della Storia!”
Mi sono sempre chiesto come riuscì a pensare il tranello del cavallo.
“Era chiaro dopo dieci anni che quelle mura erano inespugnabili. Anche con un solo soldato dentro noi non saremmo mai riusciti ad entrare in quella città. C’era allora bisogno di una seduzione, di qualcosa che arrivasse al cuore di quella città per trovare uno spazio nel quale farsi strada. Un po’ come ha fatto lei paragonandomi al grande Achille”.
Quindi?
“Quindi l’argomento fu la pace, la resa dei greci. La seduzione fu il regalo, questo prodotto artigianale che doveva apparire un dono per gli dei teso a ingraziarseli per la ritirata. Una volta costruito e infilati là dentro temetti di aver fatto una sciocchezza. Abituati a spazi aperti alcuni di noi soffrirono subito di claustrofobia. E poi il cavallo era di legno. E se gli davano fuoco? È andata bene. Quindi adesso tutti a dire quanto fu scaltro Ulisse”.
Con Polifemo se l’è vista brutta però…
“Facemmo l’errore di approdare all’isola in modo troppo disinvolto. Avevamo perso la rotta e non ci eravamo resi conto che eravamo andati a finire nella tana del figlio di Poseidone. Ma non ebbi mai paura di quel gedeone da dieci metri. Piansi amaramente la perdita dei miei compagni perché nulla potei fare per salvarli. E da allora il rapporto col resto della ciurma non fu mai più lo stesso”.
E le donne? Circe? Com’era Circe?
“Non capisco perché tutti mi chiedano di Circe. Sono stato molto più tempo con Calypso. Era più bella di Venere e senza la prevaricazione tipica degli dei su noi uomini”. 
E Circe però, nà bottarella je l’hai data!
“Ritorniamo alla domanda d’inizio. Primo perché alla domanda sul metodo o su una tattica personale io dico sempre che non bisogna mai smettere di osservare tenendo la propria ibris come risorsa da usare a tempo debito, questo è valso anche per Circe. Ma torniamo all’inizio anche perché la nostra conversazione finisce qui”.
Bastò un cenno perché la trireme si discostasse da noi e in pochi minuti divenisse invisibile alla nostra vista e Ulisse riprendere il suo posto a prua. 

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