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Mata Hari
e l’eterno femminino


Stavolta il personaggio da intervistare superava la persona, tanto che a buon ufficio le interviste dovevano essere due. Lei, Margaretha, e Mata Hari. Ma solo l’ultima delle due voleva lasciare incisa nella storia, la sua storia.
La trovai in grande allure. Come se si preparasse a una cena di gala. E invece si preparava all’esecuzione finale. La sua esecuzione era la sua ultima passerella. E sapeva perfettamente che stavolta la fascinazione, la fantasia fondativa non l’avrebbero aiutate.
Era il lunedì del 15 ottobre del 1917. In quello stesso giorno le era giunta notizia che la domanda di grazia era stata respinta. Di lì a poco sarebbe stata celebrata l’esecuzione. Mentre parlava era assistita da due suore, esprimeva ancora una sensualità irrefrenabile. Guanti, cappello di paglia, abito largo ma che si stendeva sul suo corpo tanto da far immaginare la sua completa nudità che “voleva esser un invito, ma alle pallottole perché facessero in fretta”. Un olandese di carnagione scura occhi neri, profondi non si era mai vista. Alta un metro e settantacinque. Su tutto il resto non saprei dire. 
Margaretha, perché mi ha voluto incontrare? Ora.
“Non voglio essere chiamata con quel nome di ragazza innocente. Vengo giustiziata per essere la terribile Mata Hari ed almeno rendetemi il nome guadagnato.”
Lei è accusata di spionaggio e di doppio gioco. Riconosce le accuse?
“Riconosco di essere entrata in un gioco più grande di me. Riconosco che ho dovuto sottostare a ricatti di uomini che mi hanno fatto pagare le loro debolezze su di me. Ora pensavano alle loro carriere e volevano utilizzarmi.”
Quando è iniziato il gioco?
“Quando mi sono trovata sola, ostaggio di un militare tedesco che mi impediva di tornare a casa a Parigi e mi fermò al confine. Credevo che la sua richiesta fosse uno dei tanti compromessi da pagare per il mio lasciapassare. Ma stavolta non era me che chiedevano ma le informazioni di cui potevo disporre frequentando ambienti importanti. Pensavo che sarebbe stata una volta e mai più. Una marchetta! Il mio bene in cambio della possibilità di tornare a casa. Non fu proprio così.”
Qual era il suo incarico come spia dei tedeschi?
“Fornire informazioni sui movimenti nell’aeroporto francese di Contrexèville a Vittel. Ci andavo per far visita a Vadim Masslov di cui ero diventata la donna.”
La donna o l’amante?
“Amante o donna è lo stesso. La differenza è se parla un uomo o una donna. Ero amante, o meglio lo ero stata anche del tenente di cavalleria Jean Hallaure, un agente francese. In cambio del visto per recarmi a Vittel mi chiese di entrare al servizio della Francia. Lui sapeva che lavoravo per i tedeschi. Io non sapevo che lui sapeva di me. Come potevo tirarmi fuori in quella situazione? Non avevo scelta che accettare. Stavolta però chiesi i soldi. Tanti. Un milione di franchi.” 
Lo spionaggio diventa allora doppio gioco. Dove e come operava?
“A Madrid dove ero in contatto sia con l'addetto militare all'ambasciata tedesca che con quello dell'ambasciata francese. Ma i doppiogiochisti erano loro che sapevano di me e del mio far girare notizie per sopravvivere. Non sapevo cosa fare di diverso. Chiedere di loro, raccontare storie costruite al momento erano diventate le mie estensioni morali.
D’altro canto non c’erano show disposti ad ospitarmi e forse mi ero anche stancata a muovermi seminuda davanti a quattro cialtroni. Ammetto che ero incapace a rinunciare a quel tenore di vita e poi se avessi deciso per l’indigenza l’unica alternativa per me era prostituirmi. Tanto vale farlo tenendo un tenore di vita alto e sperando che riuscisse a durare fino alla fine di quella maledetta guerra.”
Quando finì il doppio gioco?
“Quando raccontai quel che avevo sentito su manovre dei sottomarini tedeschi in Marocco. Von Kalle comprese che ero a servizio di due padroni. Telegrafò a Berlino dicendo che chiedevo denaro ed ero in attesa di istruzioni. Gli fu risposto che dovevo rientrare in Francia. Ma erano i francesi che volevano disfarsi di me. Erano loro che mi avevano ufficialmente rivelato come spia francese. Vorrei capire quanti morti ha provocato la mia attività o quante vite salvate. La risposta è zero. Io servivo come strumento di piacere per questi militari che poi decisero di sbarazzarsi di me.”
Tanti amanti, nessuno che l’ha amata fino in fondo tanto da difenderla fino in fondo?
“Una volta arrestata ho provato a negare. Negare tutto. Come potevano dimostrare il contrario? Ma i giochi erano finiti. Ma in Spagna io ebbi anche la proposta di lavorare come agente di spionaggio russo in Austria. Evidenziai il fatto che avevo lavorato per la Francia, ma quando arrivò la prova provata del mio nome in codice come agente tedesco si ruppe ogni possibile mia difesa. Questi piccoli uomini si erano ben accordati contro di me. Non erano più il loro passatempo e si vendicavano di qualche gioco che io mi ero presa la libertà di fare su di loro.”
Gli ufficiali francesi che l’hanno amata però l’hanno anche difesa al processo…
“Fu il capitano Georges Ladoux che negò di avermi proposto di lavorare per il servizi francesi e che mi considerava da allora una spia tedesca a darmi la mazzata. Se sapeva che ero una spia tedesca perché stava con me? Perché non mi ha denunciato? Questo il severissimo tribunale militare non glielo ha chiesto. Si sa. Tra uomini certe cose si capiscono. Nessuno seppe indicare fatti tali da incastrarmi. Sono stata condannata sulla base delle testimonianze. E poi tutti erano diventati miei amanti occasionali. Nessuno ammetteva che mi aveva amato effettivamente. Forse sentivano già su di me l’ombra del patibolo. Ed ora pago il mio isolamento. Una donna lo è sempre quando ha a che fare con molti uomini.”
Come è stata la sua infanzia?
“Ho frequentato una scuola prestigiosa con la mia famiglia abitavamo in un bel palazzo al centro. Ma la favola finì che ero poco più di una bambina. Mio padre fu costretto a vendere tutto per un rovescio di fortuna. I miei si separarono. Frequentai una scuola per maestre d’asilo ma a difendermi dagli uomini e la prospettiva di quella vita non erano eccitanti. Stabilito quello che gli uomini volevano da me, decisi di sposarmi con un ufficiale che soffriva di reumatismi e diabete. Era il 1896, io avevo venti anni, lui quaranta. L’anno dopo nacque Norman John e partimmo per Java, nel ’98 nacque Jeanne Louise. Ed è l’unica ricchezza che lascio su questa Terra perché il piccolo lo persi dopo due anni appena. Questa lettera è per lei. Ne ho spedita una copia ma so che non arriverà mai. L’ho chiamata per questo. So che lei gliela consegnerà.”
A Java imparò a danzare?
“In effetti ascoltai la loro musica e la danza locale in un tempio. Ne rimasi affascinata. 
L’esotismo faceva della donna per la prima volta un oggetto di culto, ancor prima che di bramosia. E poi capivo di essere irresistibile con quelle movenze che subito iniziai ad imitare.”
Che passaggio c’è stato dalla moglie di un ufficiale a Mata Hari?
“Nel 1902 riuscii a ritornare in Olanda e a separarmi da mio marito che riuscì a togliermi mia figlia. Nel 1903 andai a Parigi. Non conoscevo nessuno. Facevo la modella per un pittore, cercavo scritture nei teatri e altro che puoi immaginare. Mi cambiò la vita lavorare come amazzone per un circo. Una sera l’esibizione venne fatta per una festa in casa privata dove inscenai la danza giavanese. Erano tutti senza parole. Iniziai una tournée in case private dove il momento che non lesinavo al mio pubblico era la perdita naturale dei veli. Scivolavano via dai miei movimenti, senza alcuna apparente azione da parte mia per trovarmi sostanzialmente nuda davanti a quei bavosi. Era il 1905. Quanto era cambiata la mia vita!”
Lì nacque Mata Hari?
“In una di quelle feste private monsieur Guimet, un industriale col gusto degli oggetti d'arte orientale mi fece esibire a place de Jéna dove egli custodiva i reperti. Per rendere credibile tutto questo era necessario un nome malese, esotico. Così nacque “Occhio dell’Alba”, Mata Hari. Di lì uscirono scritture per il Moulin Rouge, il Trocadéro, il Café des Nations! Voi giornalisti cominciaste ad occuparvi di me e iniziai a raccontare di origini esotiche su sacerdoti fanatici e sul fatto che ora temevo la loro vendetta per la profanazione dei loro riti. Erano mie illuminazioni del momento. Le sentivo mie. In qualche modo mi appartenevano effettivamente. E poi cosa di più seduttivo c’è di una donna da proteggere? 
Il 18 agosto la mia consacrazione all’Olympia. Finalmente stavo dentro una storia mia. Contava solo quel che contava nella realtà effettuale.”
Si è data spiegazione di tanto successo?
“In me gli uomini vedevano erotismo e ascesi, insieme. E poi nessuno conosceva l’India quindi era come ingannare dei bambini che vogliono credere. Anche Jules Massenet e Giacomo Puccini furono miei ammiratori.”
Quando finì questo sogno?
“Quando ebbe fine la Belle Epoque ed ebbe inizio la prima guerra mondiale. Ora però sembrano proprio chiedere di me. La saluto. È stato un piacere parlare con lei. Un piacere aver amato molti uomini. In fondo 42 anni è una bella età per morire.”
(Erano le sei e trenta di mattina. Non ho mai capito perché le esecuzioni si effettuassero sempre immediatamente dopo l’alba. So solo che otto degli undici fucili effettivamente carichi e puntati su di lei mandarono il colpo a vuoto. Uno la prese su un fianco, un altro al ginocchio. Solo uno fu quello utile a toglierle la vita freddandola al cuore in pieno. Più criminale fu l’inutile colpo di grazia).

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