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09 novembre '14 - esistenze
Ogni età conosce separazioni
A venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino i ragazzi vogliono capire una Storia da loro esistenzialmente non condivisa


Ogni età ha avuto il suo muro. Quella precedente, la generazione di giovani che ha conosciuto gli Anni di piombo, ha dovuto rivivere il remake della guerra partigiana-antifascista: un folle disegno per la generazione dei ventenni che negli anni Settanta si trovarono nuovamente su due fronti in uno scontro insensato, non attinente alle necessità di cambiamento per affermare nuovi valori anti-borghesi inconsapevolmente condivisi.

La generazione ancora precedente vide costruire il muro con la radicalizzazione delle divisione tra i due blocchi. Visse quindi il mito di John Fitzgerald Kennedy . Il presidente degli Stati Uniti che davanti al Muro di Berlino appena eretto nel 1962 lanciava un grido di speranza ai ragazzi che stavano dall’altra parte. Era il governo di quella Germania Est sotto controllo dell’Urss che aveva ordinato la divisione evidente di un mondo diviso. Un muro eretto per scongiurare contatti indesiderati e confronti deprimenti tra i due modelli di società. Oggi però va anche detto che quel muro fu eretto per comuni volontà di entrambi gli schieramenti.

Né questa né la precedente fascia generazionale riuscirono a scalfire un mattone di quel muro. Ci riuscì invece l’impoverimento generale delle società dove il socialismo reale era invece il totem da adorare. La crisi del modello sovietico pretendeva di concorrere col sistema capitalistico utilizzando la stessa logica di potenza e di accumulo in termini di arsenale nucleare, ma senza condividere alcunché col proprio popolo.

Quel modello non funzionò e tardi arrivò la Perestroika di Michail Gorbacev coi suoi richiami tardivi allaGlasnost.

Sono storie che i ventenni di oggi non conoscono? Sono storie che probabilmente troveranno noiose, afflitti come sono dall’incertezza sul proprio futuro e dall’incapacità di sognarne uno ideale, personale o collettivo che sia.

Questi ragazzi ascolteranno, interrogheranno, porranno dei quesiti a chi ha vissuto quegli anni, ma è poco certo il convincimento col quale usciranno da questa iniziativa. Oggi, come fu per le precedenti generazioni, è bene predicare attualizzando il problema che fu di venticinque anni fa. D’altra parte in un’età che non conosce vincoli sistematici di pensiero e di condotta esistenziale, se non quelli determinati dalla condizione economica,è difficile predicare la libertà come valore necessario: la libertà è ben poca cosa se non sussistono le condizioni effettive per svolgerla.

E allora il muro da abbattere è quello delle barriere comunicazionali. Ma anche queste dovrebbero essere abbattute con l’età di internet e dei social network.

Un valore importante allora deve consistere nella ri-valorizzazione della democrazia come comportamento effettivamente condiviso, come partecipazione, nell’estensiva limitazione all’esercizio della delega: il non consentire ad altri che decidano per noi, il seguire il solco che si è segnato infischiandosene, se si ritiene di farlo, dei tracciati già delineati, il non perdere mai di vista la latitudine sociale dei problemi di cui si tratta, altrimenti una lotta solitaria non produce nulla, non porta da nessuna parte. Questo significa, oggi, abbattere il muro.

Questo sognarono quei ragazzi il 9 novembre del 1989 quando finalmente videro allontanarsi le guardie di sorveglianza e a colpi di piccone buttarono giù quello che improvvisamente appariva il retaggio dell’Età postbellica nella quale avevano vissuto. I giovani che ascolteranno e interrogheranno su quel muro non hanno vissuto quell’età di chiusura che ha incitato dei ragazzi a caricare su altri ragazzi, che ha diviso una generazione in due. Il loro compito sarà allora quello di capire come vivere la libertà, evitando che questa libertà sia una “libertà obbligata”.