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14 aprile '17 - nonsenso
I 50 di Totò
Il mezzo secolo ancora non riesce a far giustizia del genio partenopeo: non si entra nella connotazione semiotica della sua comicità


Totò non è semplicemente una maschera. Totò entra a pieno titolo nella storia della letteratura satirica e umoristica ponendosi accanto a Plauto e Terenzio. La piena consapevolezza della sua grandezza ancora non ha rischiarato i bui di tanta critica che lo accusò giustamente di avere realizzato tanti film puramente commerciali. Totò ha in effetti ecceduto in generosità di sé inserendosi in trame preconfezionate a cui dava i suoi giochi di parole e di ruolo, nella speranza di far elevare la sceneggiatura mediocre. Con questa stessa generosità di sé, Totò ha trasformato in capolavori film che sarebbero rimasti nella parodia di altri film famosi, quindi scialbi, da dimenticare. Totò Le Mocò, Totò Sceicco, L’Imperatore di Capri tra questi.

Ma il peggiore modo per non ricordare un genio – quindi contribuire a dimenticarlo per il suo genio – consiste nel non spiegarlo. Ma rendendolo sostanzialmente incompreso se ne perpetra la dimensione del genio negli anni. Ed è questo che sta succedendo in questi giorni di ricorrenze del cinquantenario della scomparsa.

Totò ebbe il merito di essere avanguardia assoluta per la capacità di giocare coi significanti ed elevarli al loro effettivo ruolo preminente. Deprivandoli di ogni significanza originaria ha portato via il senso in dimensioni di insensatezza.

 - "Lei mi spoglia con gli occhi! Spogliatoio!" - 

Con la stessa maestria di giocare sulle apparenze e sui puri comportamenti, Totò ha dirottato i contenuti dove una trama parallela al senso comune rendeva impossibile riconoscerne la sensatezza che appartiene invece al gioco della maschera col suo pubblico.

 - "Mortis tua et tu patri et tu noni in carriola mamèa... Linoleum, linoleum... Ora pro nobis, ora " ... - 

Totò con invarianza semantica giubila totalmente i significati pur rimanendo ancorato alla trama di senso compiuto. Il suo non è un modo di giocare col vero, ma con la capacità di esprimerlo e di saperne giocare con valenze inaspettate. Qua e là, un po’ di critica sociale c’è. Ma molto defilata tanto da non poter correre il rischio di entrare nella sensatezza e di rendere il suo discorso semplicemente parodia. La semplice caricatura e gioco del grottesco non avrebbe resistito negli anni. In questo Totò marca differenza abissale con tanti suoi colleghi coevi, oggi inevitabilmente dimenticati.

- "Poi dice che uno si butta a sinistra" -

Se oggi Totò è ricordato e ancora fa ridere è per la sua capacità di giocare con la paronomasia, con l’indifferenza per il significato, considerato materia, zoccolo duro, presenza ossessiva dalla quale già lo spettatore non può staccarsi. Può liberarsene però seguendo le trame oblique al reale, presentate nei suoi rovesciamenti.

 - "Voi siete un soggetto schizofrenico". "No, no. Io sono un democratico napoletano" -  

Ad aiutare la dissoluzione del senso per il libero dispiegarsi del significante, la sua figura clownesca, i lineamenti simili a una montuosità impervia da scalare. I tratti del volto e i comportamenti spigolosi servono a confermare l’irriducibilità a stilemi compiacenti, sia negli atti che nell’ eloquio. La maschera fa ridere perché nel suo incedere non è mai rassicurante. Non chiede mai complicità allo spettatore. Gioca tutta la diversità di un mondo poco convinto dalla capacità di dare un senso a ogni cosa. E ci dice che rimarremo liberi dall’egida delle mode o dei convincimenti di maniera fin quando arriveremo a concludere che non c’è cosa che abbia quel senso a lei assegnato. O almeno non solo quello.

"Crumiro!" "Crumiro a me? Fachiro!"