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21 giugno '17 - filosofia
Che abbiamo fatto per meritarci Fusaro?
Mio intervento sul blog de L'Espresso


Non ci meritiamo Fusaro, così come non ci meritiamo tanto opinionismo piatto che diverge solo di maniera. IL problema di Fusaro è la crisi, forse la fine, della filosofia. Nel senso della fine di un ' pensiero altro ', in grado cioè di guardare le questioni dell'attuale da una visuale totalmente diversa, a volte profonda, spesso alla ricerca intrinseca del senso vero delle cose, altre volte con la pretesa di volare alto collocando i problemi di ora a qualcosa di epocale. Ingeneroso l'articolista quando taccia i filosofi come colpevoli di ergersi su un piano di incomprensibilità - e questo per dimostrare al volgo la loro superiorità. Fa confusione con gli intellettuali in modo generico.

http://lurtodelpensiero.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/06/20/perche-ci-meritiamo-diego-fusaro/comment-page-1/#comment-16

I filosofi dagli albori si sporcavano le mani, il corpo e prendevano tutte le conseguenze delle loro predicazioni (Eraclito con l'isolamento, Socrate con la morte, Platone fu venduto come schiavo, Aristotele con la fuga da Atene ...). IL problema, secondo me, è che oggi avremmo bisogno di un 'pensiero altro'. Ma non lo abbiamo. Lo prendiamo, quindi, da chi lo offre. Ed ecco spuntare un saputello scaltro che si spaccia per nuovo filosofo. Cacciari ormai troppo interno alla politica per esser considerato altro. Vattimo è stanco. Galimberti troppo didattico. Il grande Emanuele Severino troppo grande per accettare di ridurre le sue riflessioni a spot prima delle pubblicità. Tutti gli altri si prendono lo stipendio maturato dall'esser riusciti a guadagnare la cattedra universitaria e quasi si vergognano di esser chiamati filosofi. Ed è normale. Sono i riproduttori di un pensiero che, in quanto riprodotto, appare sterile e stantio. Capiscono che parlano di un sapere che non c'è più nell'età della tecnica. Come un alchimista che prova a dire le sua in pieno Ottocento. E allora cercano di guadagnarsi da vivere associando la riflessione alla cucina, al calcio, al tempo nel senso di temporalità, alle cattive abitudini di ciascuno di noi. Anche Giorgio Gaber rifletteva sul bisogno di un pensiero - forte o debole - per questi nostri anni. Non c'è. Dobbiamo farcene una ragione. Gli ultimi esempi sono nel neo-pragmatismo di Hilary Putnam, nella semiosi inifinita dei linguisti, nel pensiero debole, nel postmoderno. Tutta roba degli anni Ottanta. Più nulla. Dopo! Ma siamo abituati a questo 'pensiero altro'. Ne abbiamo bisogno. E la macchina che sforna spot verbali e commerciali provvede subito a risolvere i bisogni spontanei. Chi ti trova? Fusaro. Del resto se i filosofi non ci sono, chi altro?