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05 febbraio '20 - Estetica
Diletta la bellezza
Sermone esistenziale di Leotta per dire che non bisogna stare più avanti ma nemmeno dietro alla propria fisicità


Parlare per diletto della bellezza. Chi può se non Diletta? E invece non è proprio così. Nel pistolotto che gli autori le hanno fatto imparare a memoria durante la celebrazione della prima serata del festival di Sanremo, martedì 4 febbraio, si è assistito a un rovesciamento unico nella Storia. Non si era mai visto, infatti, che fosse la bellezza a parlare di sé. Da sempre sulla bellezza si è speciosamente dissertato, analizzato, oppure rifiutato ogni giustificativo di ragione per abbandonarsi al sensismo puro e semplice che essa evoca. Stavolta no. A Sanremo Leotta esordisce spavalda sugli apprezzamenti che in questo momento si faranno su di lei. Gioca sui modi di esprimerli e poi fa l’esempio di sua nonna. Quest’ultima le ha insegnato come la bellezza sia un bene da gestire per non farsi sopraffare dalla sua esplicazione che potrebbe determinarsi da inevitabili effetti contrari. La nonna è viva, lotta insieme a noi e la sta seguendo sul parterre di Sanremo. Diletta la presenta. Siparietto per dire quanto è ancora bella la nonnina: era la sortita retorica che a Sanremo non poteva mancare e noi la perdoniamo. Imperdonabile invece la tematizzazione - sic et simpliciter - della bellezza, confondendola con gli effetti che essa evoca quando è declinata nella tipologia della sensualità. ( Immanuel Kant avrebbe chiuso la pratica bollando la sua specie di bellezza come non autentica in quanto legata all’interesse. Inutile sottilizzare quale). Ma pur usando l’espressione in senso estensivo, lo scivolamento del significato in modalità di fruizione del oggetto del contendere – la bellezza – porta a un’ulteriore slittamento terminologico. Da oggetto problematico, da spunto per riflessioni ontologiche ed epistemologiche, da intraducibile tendenza al godimento intellettivo attraverso l’evocazione del perfetto e del giusto, si cade prevedibilmente sull’oggetto del desiderio. Ma a questo ci siamo abituati da tempo. È il passaggio successivo della Leotta (e dei suoi autori) a fare Storia. La novità consiste nel gestire questo oggetto di desiderio. L’arte sta lì. L’arte della vita, si dirà. L’arte non sta più nel tentativo di riprodurre, in qualche modo, il sentimento di aspirazione etico-esistenziale a qualcosa di superno. ( Del resto, si sa, questa è un’illusione tramontata già a fine Ottocento ). L’accelerazione della Leotta ci dice che conta vivere. Conta prima di ogni altra cosa. Conta da spazzare via tutto il resto. Conta a tal punto che quella che ci ostiniamo ancora a chiamare bellezza - ma si traduce col sensuale, attraente, vivida tendenza alla riproduzione - deve essere messa a profitto con saggezza. Ed è per questo che non bisogna stare più avanti, ma nemmeno dietro alla propria fisicità.