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13 luglio '20 - Semiotica
Dare il valore
Senza quel commento musicale Per un pugno di dollari sarebbe solo la trasposizione di Arlecchino servo di due padroni in western


La dipartita di Ennio Morricone deve servire a rinnovare una riflessione antica. IL rapporto tra immagini e musica. Non c’è repertorio del musicista recentemente scomparso che sia alienabile dai film di cui è stato colonna sonora. Non c’è film di grande regista musicato da Morricone che non debba buona parte del successo alla sua colonna sonora. Quello del maestro romano si presenta quindi come un elemento di scuola di una dissertazione infinita sulla capacità immaginifica della musica, sia come finalità esplicita che come conseguenziale effetto. Nell’ultimo dei casi la ragione sta semplicemente nella tendenza a dare immagini dei fatti, a proiettare ogni concezione del nostro immaginario alla facoltà di creare immagini auto-prodotte. Ma ascoltando l’Eroica di Beethoven siamo liberi di immaginare scene esaltanti, esplosive, indipendentemente dalla finalità prima di consacrare, prima di abiurare, Napoleone Bonaparte. Conoscere la prima finalità celebrativa della sua composizione non aiuta ad entrare meglio nella sinfonia e comunque non conoscerla non toglie nulla alla sua bellezza. Ma quando succede che una musica sia esplicitamente legata ad altri eventi come una mostra di quadri (Mussorgsky), l’esaltazione di un popolo (Wagner), il suo destino appare indissolubilmente legato a quei programmi di scrittura? In questi casi non si può ascoltarne i brani senza aver presente il fine per cui sono stati scritti. Tanto più il godimento di quelle note conferma il “dato” dell’esser destituito totalmente dalle origini per cui quelle composizioni sono “date”. Eppure non possiamo pensare ad Ennio Morricone come musicista senza prescindere dai film di cui è stato compositore per i commenti sonori. “La differenza – si dirà – è che gli originali di ispirazione sono opere che si danno all’attualità e sono oggetti di consumo permanente, come tali sono i reali diffusori della musica di Morricone”. In tal senso il film, l’immagine in movimento, si pone come pre-testo, come momento di pura diffusione del contesto sonoro che costituisce la sostanza dell’evento. Si tradurrebbe in offesa alla memoria di Sergio Leone e di tanti altri grandi registi se fosse evidenziato che è il film in relazione della musica e non il contrario. Ma questo è un costo che potremmo pagare per l’ottenimento di una verità. Ma a ben guardare gli studi semiotici ci hanno dato teoresi che debbono essere solo prese a prestito per essere messe in azione per il rapporto tra le musiche di Morricone e i suoi film di cui sono parte imprescindibile. Potremmo scomodare la connessione indissolubile tra significante e significato in Ferdinand de Saussurre o la preminenza del simbolico in Roland Barthes dove la musica è una delle due facce della moneta saussurriana o il simbolico espresso stavolta in musica e non nel fatto visivo si pone come effettivo emblema della narrazione. La rivoluzione semiotica di Morricone sta in questo. Ed è qualcosa di ben più grande che l’aspetto consolatorio di una buona musica che passa e se ne va.