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16 settembre '20 - Etica
No sta per On
In questa notte della repubblica il migliore auspicio consiste nel rimanere accesi


Prima dell’uscita dei responsi al referendum costituzionale sulla diminuzione del numero di parlamentari, un dato dovrà emergere alla Storia. Mai si è riscontrato un pronunciamento favorevole dei partiti, pari a circa il novantasette per cento. Ma mai per la medesima circostanza il pronunciamento di opinionisti, poltici di professione, addetti ai lavori del Transatlantico, ha dato la stragrande maggioranza per il No. In un giro di posizioni che si sono avvitate su di loro e di cui tutti hanno giustamente rendicontato, i partiti hanno preso questa posizione come l’unica possibile. I cinquestelle perché ne sono stati i propugnatori, il PD perché è al governo coi cinquestelle e l’adesione all’intero processo di approvazione della legge, fino al referendum, era un passaggio obbligato dalla coerenza di maggioranza. La Lega perché al momento governava coi Cinquestelle, lo aveva votato, non ci sono condizioni per ripensare a quella prima adesione per un partito che si pone come antisistema. I Fratelli d’Italia, lo stesso. Perché dirsi contro il Palazzo oggi significa dirsi nuovi. E il gusto nella Tendenza Assoluta del Nostro Tempo pende sempre sul nuovo, assai meno sul bello. Comunque andrà, questo referendum un risultato lo avrà raggiunto. Quello della dissoluzione del sistema parlamentare. Se dovesse vincere il Sì perché sarebbe ancora più chiaro che il sentimento degli italiani è anti-parlamentarista, anti-dialettica, anti-democraticistico perché nelle regole scritte della democrazia organizzata ci sono tutte le ragioni della sua debolezza estetica. Se dovesse vincere il No, sarebbe la vittoria degli individualismi. Quegli intellettuali, politici di professioni, opinon maker, potrebbero cantarla chiara dicendo: vedete? I vostri tentativi sono inutili, la Camera ha approvato in quattro sedute una legge che gli italiani bocciano. E tutto il Parlamento sarebbe delegittimato. Ma in nessun caso si penserebbe a scioglierle queste Camere per definire gli assetti e i nuovi rapporti di forza. No! Si preferisce dare riscontro alle elezioni per il rinnovo dei presidenti e delle piccole Camere (eterno ritorno del parlamentarismo) per il governo degli enti regione. Difficilmente si arriverà ad un sette a zero. IL centrosinistra riuscirà a sbrigarsela in Toscana, a perdere in Puglia ma riacquistare lì una maggioranza, e tutto essere riconquistato nell’apparenza di una continuità legittimata. È invece questo referendum costituzionale che non legittima nessuno. È questa puerile necessità di darci un taglio, di far vedere a quei fannulloni che sono pure troppi, di ridimensionare per ridiscutere sempre e riformare mai. Gli italiani un’occasione l’hanno avuta quattro anni fa avendo la possibilità di togliere il Senato rendendo legislativa solo la Camera dei deputati. Non l’hanno colta perché sembrava fare un favore a Renzi che ci ha messo molto del suo per pasticciare l’idea base sulla quale era nata questa riforma e concentrare solo su questa l’adesione dell’elettorato. Dice Marco Travaglio: ‘se ai parlamentari gli fai vedere che neanche questa è l’occasione buona non si autoriformeranno mai’. Ed è su questa divisione tra classe parlamentare e classe sociale che chi ha il bene di pensare in modo pubblico deve lavorare. Se si afferma questo solco si perde comunque. Se non si ha il coraggio di riformare questo nevralgico istituto della democrazia rappresentativa sarà inutile parlare del resto perché avremo solo caste di non eletti a decidere su di noi: magistrati, capo del governo, capo della repubblica. A tutti sfugge invece che l’unica riforma possibile consiste nel tornare a un sistema con dei collegi in cui ci siano candidati che rivaleggiano coi loro avversari. A questo punto, come elemento di maggiore garanzia, toglierei anche l’obbligo di partito o di schieramento. Se vuole farsi eleggere Mario Rossi nel collegio dove abita da una vita ed ha forza, credibilità, stima generale dei suoi concittadini o del suo quartiere, lo possa fare. IL parlamento sarà costituito dalla selezione reale di persone uscite da una competizione. Ma è proprio questo che non garantisce il sistema dei partiti e soprattutto non garantisce i garantiti all’elezione che il passaggio allo scranno lo vogliono come certo. In un sistema dove il ventaglio di scelte diminuirà fortemente e i segretari decideranno chi candidare, dove e in quale evidenza, non ci sarà scelta per i cittadini. Ci sarà solo l’apparenza di una scelta. I giochi saranno fatti altrove perché non tutti sanno che i segretari di partito per promuovere i loro pupilli o bruciare le persone sconvenienti si mettono d’accordo. Diverso il collegio! Dove al di là delle condizioni di favore o sfavore di partenza te la giochi e te la devi conquistare. Ma tutto questo è rimasto incastrato in quel dibattito di inizio anni Novanta che partorì un maggioritario scamuffo perché facilmente aggirabile con correttivi proporzionali. Oggi si vogliono tagliare i deputati, da una parte. Dall’altra si invoca all’attacco per la democrazia. Non serve neanche augurare augurare buona notte. Ci siamo già. In quella più fonda.