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26 ottobre '20 - Etica
Senza sport e cena al ristorante
Le ultime misure del Dpcm colgono specificamente nella socialità che c’è nel fare le cose


IL ministro Spatafora l’ha detto a chiare lettere, domenica 25 ottobre in televisione intervistato da Fazio. ‘ IL decreto del presidente del Consiglio ha voluto tagliare coi pretesti per uscire fuori di casa ’. Sì perché incontrare è un’occasione di trasmissione e tra la miriade di cose comunicate ci sono anche virus e batteri. Tra questi potrebbe esserci il coronavirus. ‘Povero virus!’ Chissà se si aspetta di essere così importante nella nostra vita. Eppure lui cerca di preservare la sua, moltiplicandosi per cercare i vettori dove prosperare. I corpi dove ha possibilità di farlo però entrano in disfunzione e finiscono per essere una cattiva dimora. Continua allora la trasmigrazione verso altri corpi. Impedendoci di avere rapporti sociali gli si impedisce proprio di trovare altre sponde e proliferare. La lotta per la sopravvivenza tra noi e loro non si concilia perché noi nelle interrelazioni fondiamo il carattere stesso dell’esistenza come persone. IL fare sport - quindi scaricare tensioni, migliorare le prestazioni della pompa cardiaca e della resa muscolare, scaricare la tensione introducendo l’effetto di ottimismo che dura almeno per qualche ora – sono poca cosa confrontato con la possibilità di poterlo condividere e farne momento di confronto. Anche il sostentarsi col cibo diventa un’occasione di condivisione, in altri termini di conoscenza, e in altri termini ancora di liberazione da sé. Noi come i virus non ci bastiamo. Abbiamo bisogno dell’altro da sé per trovarci. Impedendo di trovare questo altro lo impediamo anche al virus. In questo modo impediamo la sua proliferazione. Ma allo stesso modo impediamo la nostra che senza il rispecchiamento nell’altro è costretta a rispecchiare su sé stessa capendo il limite di esser cosa finita. La mestizia del virus è la nostra mestizia. La morte civile trovata nell’impossibilità di trovare relazioni che consentono di espandersi è la nostra. E allora scopriamo che ci somigliamo assai di più. Ma somigliarsi non significa poter stabilire una convivenza. Sono proprio quelli che si somigliano a finire per rendersi incompatibili l’uno con l’altro. Ed è per questo che per sopravvivere bisogna trovare il modo per fare meno l’uno dell’altro. Somiglia alle scene da un matrimonio, la nostra storia col virus. E come nel film di Bergman non è importante chi trae più danni dall’abbandono e da quel senso di morte. Conta solo chi sopravvive. E non è detto che coincida con chi ha avuto meno danni.