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09 giugno '22 - Estetica
L’insostenibile leggerezza dell’Europa centrale
In un discorso dopo l’invasione di Praga Milan Kundera aveva visto lo smarrimento della parte debole ma insieme nevralgica dello spirito d’Europa


“In relazione al suo sistema politico l’Europa centrale è l’Est. In relazione alla storia culturale è l’Occidente”. Così l’autore dell’Insostenibile Leggerezza dell’Essere spiegava in quintessenza la lacerazione, ma in contempo l’ineguagliabile ricchezza, delle genti che nella seconda metà del Novecento vivevano come ospiti di un regime e insieme portatori nel profondo del sentimento d’Europa. Loro più di altre realtà dove la cultura della Mitteleuropa o lo spirito dell’Illuminismo, come del Romanticismo, vengono celebrati.

L’inquietudine dei popoli della repubblica ceca, come della Polonia, dell’Ungheria vivono così le stesse lacerazioni dei protagonisti dei romanzi di Kundera.

Tutto ciò va a detrimento dello stesso sentimento d’Europa, secondo Kundera. Questo perché senza il riferimento all’altro da sé che è l’Europa centrale, l’Europa propriamente detta vive nel crogiuolo delle sue conferme senza alcun momento di contraddizione e confronto. Nelle celebrate lotte contro il socialismo reale, l’Europa centrale vive il disperato tentativo di perpetrare sé stessa, la percezione della sua possibile imminente morte. (Pare che l’inizio dell’inno della Polonia abbia come incipit la frase: “la Polonia non morirà”).

Ma a ben guardare l’Europa centrale combatte contro due nemici. Uno è chiaramente l’Est del socialismo reale (si tratta di un discorso redatto nel 1967) ma insieme la forza dissipatrice del tempo che rischia di far perdere di vista la propria identità.

Il fattore che rischia di dissipare questa grande forza propulsiva però consiste nell’altra Europa, quella che si corona dietro il manto del mondo libero ma guarda con indifferenza le lotte per l’autonomia, l’emancipazione ma insieme la conservazione di sé che da qualche decennio combatte l’Europa dell’Est.

E la lacerazione nasce dal disperante tentativo dei tanti artisti di quella parte d’Europa di voler trovare illusoriamente un’autorità morale per loro stessi in un mondo in cui impera totalmente la politica governata dalla tecnica.  

In questa dimensione anche lo stalinismo per la repubblica ceca diventa un atout importante perché riesce a inverare quelle origini fatte dei sogni originari in cui si voleva affermare un’umanità nuova. Ed è per gli stessi motivi che, sempre Kundera, è contrario all’assimilazione tra stalinismo e fascismo.

Sembra cioè voler rivendicare il senso più puro e originario di quelle tendenze sebbene poi portarono nella Storia le loro deformanti degenerazioni. La lacerazione deriva dalla mancanza di riconoscimento che l’Europa centrale si aspetta dagli “illuministi” dell’Occidente. A titolo di esempio nel breve scritto Kundera ricorda il direttore dell’agenzia stampa ungherese che nel 1956, davanti all’invasione russa, trasmette un telex al resto del mondo con un testo la cui conclusione dice tutto del sentimento di mancato riconoscimento: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”. Il sacrificio degli ungheresi non era solo per la loro libertà ma anche per il resto d’Europa che invece negli anni è sempre, sostanzialmente, rimasta a guardare.

 

 

(Milan Kundera, Un Occidente Prigioniero, ed. Adelphi, 1967-2022)