I nostri tempi segnano una crisi epocale del modello occidentale dove le democrazie declinano, si inceppano e lasciano molti deficit alle aspettative di libertà con le quali si presentano al mondo. Sia Europa che Stati Uniti infatti non riescono ad avere un sistema di funzionamento che vada pari passo alla crescita tecnologia, all’innalzarsi delle ricchezze e al diffondersi di nuove povertà.
Il modello che ha caratterizzato il Novecento, in cui la democrazia – soprattutto nella sua forma – riusciva a dare quantomeno dei contrappesi, non regge al peso di nuovi potentati economici, sempre più indifferenti ai diritti sollecitati dalla società reale (e segnatamente dagli ambiti meno organizzati a livello sociale).
La formula dei sempre più poveri - in ampi ambiti della società al cospetto del rafforzarsi di oligarchie economiche - non può essere semplicemente ripetuta ritualmente. Alla lunga crea disallineamenti sociali, corsa all’individualismo, crescita di fenomeni come rabbia sociale e corruzione.
Ma la contraddizione è che il modello occidentale, pur non potendosi assolutamente permettere di rappresentare un modello nel mondo, lo è.
Nello specifico nelle proteste in Iran e Afghanistan, l’Occidente
rappresenta un orizzonte illuminante, ma non può dare illusioni sulla sua tenuta.
I rapporti di forza e le gerarchie totalmente incrostate, in quel mondo teocratico, segnano
la loro inevitabile fine. Ed è sull'insostenibilità di questo modello la protesta, non davvero sulla capacità di
attrazione come modello da parte dell’Occidente.
Il calcio d’inizio di questo mondiale in Qatar riesce a
silenziare, ma solo per un attimo, la mole di polemiche sulle quali si è
costruito. Riesce a imbavagliare bene l’iniziativa della squadra della
Danimarca che provocatoriamente intendeva presentare una maglia rossa con una
frase considerata offensiva dagli organizzatori: la Fifa. ( Non si offende la
gallina dalle uova d’oro – avranno pensato
– tanto più nel momento fondamentale della sua produzione ).
La debolezza dei paesi, che dovrebbero rappresentare un
modello, lo si rileva dal fallimento dei tentativi di boicottare questo Mondiale:
quantomeno dal punto di vista dei telespettatori.
Vedere un Mondiale con share
molto basso significherebbe attaccare questi Signori della Terra sull’unico
credo ideologico per loro intramontabile: i soldi. Crollando gli ascolti,
mostrando la fallimentare operazione sotto il profilo della pubblicità,
significa attaccare il cuore dell’operazione: il business.
Diverso il discorso sulla suggestione del calcio che
continua a rappresentare il soft power,
il cavallo di Troia, col quale – si diceva
un tempo – il sistema capitalismo mostra l’aspetto gentile della sua
pervasività. Quindi anche il calcio, secondo questa visione, consiste nel
braccio gentile che acquisisce influenza, mercato, presenza, senso di dominio.
Ed è per questo che la posizione di astenersi dal Mondiale
consiste nell’unica forma di resistenza attiva in grado di dimostrare la
vitalità dell’Occidente sempre più schiacciato dal linguaggio della tecnologia,
delle merci e dell’accumulo di capitali. È questa autonomia delle persone prese
ciascuna singolarmente che può rappresentare una speranza per un mondo in
declino come quello arabo.