Tutti insieme appassionatamente per celebrare la
stigmatizzazione dell’imperialismo russo. A dirlo prendendo questa come
occasione per celebrare l’ideologia dell’Unione Europea in quella che è
considerata una vetrina del mondo: la prima alla Scala.
Sul loggione ci sono un po’ tutti. Innanzitutto il
presidente della repubblica Sergio
Mattarella, centralissimo. Ed è il super presidente a tenere la scena
davanti a tanto di ospiti. La presidente della Commissione Europea Ursula Van der Leyen che non le manda a
dire sulla scelta dell’opera come simbolica del momento in cui la Russia si
scredita agli occhi del mondo come aggressore di un altro paese. La vicende del
Boris
Godunov raccontano di un sovrano salito al trono di Russia a seguito di
intrighi di corte ma, sentendone tutte il peso su di lui, deve subire su di sé il
senso di colpa per l’incapacità a gestire il suo ruolo. E
Ursula, nel plaudire l’opera e il suo alto valore simbolico - dove si rappresenta l’onere del potere in
contrasto col gravame morale che la persona deve sostenere nell’assumerlo -
non manca di dire: "penso che i
compositori russi come Mussorgskij o Cajkovskij siano fantastici cosi come
Tolstoij o Dostoevskij. Non dovremmo permettere che Putin distrugga questo
fantastico Paese. Per questo non vedo l'ora di assistere a quest'opera".
Come se servisse una sottolineatura le fa eco Giorgia Meloni: “Noi non ce l'abbiamo
col popolo russo, con la storia russa, noi ce l'abbiamo con scelte di chi
politicamente ha deciso di invadere una nazione sovrana. È una cosa diversa,
secondo me è giusto mantenere le due dimensioni".
Quindi Vladimir Putin
come Boris Godunov. L’arte che non solo rappresenta una figura della realtà
che ciclicamente nella Storia si ripete, ma anche l’anticipa.
- Sono le ore 18 di mercoledì 7 dicembre. Diretta fiino alle
ore 21:30 su Rai Uno: share del 9,1%. Il tutto per l’opera di Mussorgskij, in
verità sconosciuta ai più, cantata in russo. Ben diversa dai due milioni 856
mila spettatori per la Tosca. Oltre duemila, gli spettatori in sala. Un milione
e mezzo di spettatori televisivi -
Ci vuole il presidente Mattarella a rimettere in linea da
fraintendimenti sull’evento. "Sono posizioni che non condivido sia sul
piano culturale sia su quello politico. La grande cultura russa è parte
integrante della cultura europea. È un elemento che non si può cancellare.
Mentre la responsabilità della guerra - ha
sottolineato - va attribuita al governo di quel Paese non certo al popolo
russo o alla sua cultura".
A ben guardare le sfumature escono divergenze tra i massimi esponenti nazionali e Ursula dell’Unione. Quando ad esprimere un forte dissenso è il popolo si inscrive nell’ordinario della storia delle prime alla Scala. Più complesso l’unanimismo della classe di governo europea che, da una parte, vorrebbe salvare la cultura russa differenziando (giustamente quanto inutilmente) l'arte da quanto succede nel mondo.
Ma dall’altra mostra discrepanze sul senso di priorità tra arte e realtà. E non è una questione marginale. Perché un conto è stigmatizzare il conflitto e le sue cause. Un altro è il tentativo di recuperare posizioni diplomatiche valorizzando genericamente la cultura espressa un popolo. Rappresentare un'opera dovrebbe essere un lavoro diverso, averlo messo in contatto in qualche modo significa aver posto una relazione che poi si rigetta. Un errore da dilettanti, anche per esponenti di primo livello della nostra scena pubblica.
Quelli del loggione sembrano uniti nella visione del mondo
ma come succede in quel film di Luchino Visconti, Gruppo di famiglia in un
interno, i conflitti non si sopiscono nell’apparente confort della condizione visuale privilegiata come quella del loggione, come quella di far parte della classe dirigente.