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03 gennaio '23 - Semiotica
L'appellativo di Vittorio Feltri a Michela Murgia
Non fa tanto discutere l'assenza di possibilità dialogica quanto l'esorbitare dallo schematismo del porsi in un confronto


Uno degli atti che incastrò Oscar Wilde nel famoso processo per pratiche omosessuali fu una dichiarazione che dette netta in fase processuale. IL procuratore che lo interrogava cercando di incastrarlo, senza molto successo, improvvisamente segnò un bel punto a suo vantaggio. Gli chiese se era vero il pronunciamento dell’imputato per cui si era detto “spinto da un irrefrenabile bisogno di baciare un altro uomo”. Oscar Wilde poteva negare. Avrebbe indebolito le prove a suo carico. E invece le rafforzò. Rispose d’impeto e fieramente: “nient’affatto! Quell’uomo era troppo brutto!” Quindi era solo quello il motivo che lo aveva fatto desistere dal proposito. Si evidenziava così la naturalità dei desideri dell’imputato.

Oscar Wilde preferì dare voce all’irruente flusso del dire e provocare piuttosto che dare voce alla razionalità del giudizio da sempre accompagnata con analisi ponderata.

Fu un grande atto d’imperio ma gli costò i lavori forzati. Oggi a Vittorio Feltri le dichiarazioni dello stesso tipo su Michela Murgia gli procurano un contraccolpo mediatico fortissimo. Non c’è portavoce dell’assennatezza a poter sostenere la posizione di Vittorio Feltri che per i più distratti ha scritto, in buona sostanza, di detestare la Murgia non per le sue posizioni, spesso discutibili, ma per il fatto di esser brutta d’aspetto.

Si eviterà di entrare nel merito delle fattezze estetiche della Murgia, anche perché ciascuno può trarre un suo giudizio perfettamente legittimo.

L’asserzione, però, con la polemica infinita che ne consegue, getta luce ancora una volta sull’asse valoriale vigente nella nostra società. 

Perché dovrebbe essere consentito e legittimo esprimere posizione di netto dissenso nei confronti di una persona e dovrebbe essere invece censurabile un’asserzione sul suo aspetto fisico? Si dirà: “l’aspetto fisico non entra in rapporto con il pensiero di chi lo esprime”.

(Ma in fondo non sappiamo quanto questo sia vero e in fondo non lo crediamo. Non c’è bisogno di un analista per capire che una persona sgradevole di aspetto avrà trovato maggiori difficoltà per farsi valorizzare in società e questo abbia portato il suo carattere ad essere particolarmente duro oppure particolarmente accondiscendente. Ma analizzare questo aspetto ci porterebbe sul versante strettamente privato della persona e in un certo modo nell’intimismo. Quel che si vuole capire qui è il piano sociale della rilevazione del brutto come presenza che vive tra noi, non censurabile, non esorcizzabile semplicemente non parlandone).

Dando primalità e pertinenza solo al pensiero e alla circolazione di idee – cosa ben nobile – si copre uno spazio che però è dichiaratamente limitato. Chiunque di noi non agisce solamente sulla base dell’intelletto, del ragionevole o della razionalità. Ci sono contesti in cui non servono affatto e si proclama, proprio nei nostri anni, l’imperio dell’edonismo più schiacciante.

Ma se è normale seguire la linea della ricerca della bellezza, oltre a capire esattamente i criteri per sottrarsi ad essa e alla sua egida sempre più prevalente, si deve poter dare voce al suo opposto semantico.

Ritorna un’asserzione di Hegel dove nello spiegare la possibilità di trovare norme e spiegazioni cogenti nell’Estetica avverte che il brutto in Essa sta come il crimine nel diritto. Non si può, non è lecito, delinquere. Allo stesso modo non è consentito arrivare al brutto cercando il bello.

Quando il brutto è qualcosa di dato, portato dalla natura naturata, e non dall’arte, l’arrendevolezza del senso comune serve comunque a preservare ‘categorialmente’ quell’ambito come oppositivo al bello. Trova quindi una funzione.

Il fatto di aver associato l’asserzione di bruttezza a Michela Murgia esorbita dai contesti comunicativi coi quali ci si confronta con un’intellettuale. Non smette però di dire qualcosa su Murgia che per il corsivo di sopra è difficile archiviare a priori. Ma per essere un’asserzione esorbitante dice molto sull’asserente: Vittorio Feltri. Come Oscar Wilde ha deciso di far tracimare le sue pulsioni sul codice dialogico col quale ci si intrattiene in questi contesti pubblici. Un’asserzione che per il complesso di cose emerse dice molto di più di Vittorio Feltri che di Murgia. Non è assolutamente detto però che queste cose ci piacciano. Ma questo si può dire. Siamo in un ambito filologico consentito.