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27 gennaio '23 - Italia
Le vite degli altri
Imperversa la discussione sulla funzionalità di uno strumento di indagine superato come funzionalità


Mai dibattito ha conosciuto il pericolo del campo minato come la discussione sulle intercettazioni telefoniche. Nella sfera politica la dialettica è limitata al dato terminale: il garantismo dell’informazione per cui nell’abuso della pubblicazione si vede l’unica ragione ostativa. D’altra parte è pur vero che le evidenziazioni sui giornali di dettagli pruriginosi, non aventi alcuna correlazione con l’inchiesta della magistratura, hanno dato ampio materiale di polemica. (Discussione che anche se centrasse il problema lascia sospeso il vero nodo del contendere. In genere, siamo infatti sicuri che sia giusto – no legittimo, ma giusto – pubblicare conversazioni prive degli inevitabili sotto-testi sussistenti in ogni rapporto amicale?).

L’altro corno del contendere attiene a una questione strettamente legata alle procedure di indagini. La questione si incentra sulla effettiva pratica in sé. Avendo fondati sospetti su reati commessi, la ricerca si estende a rete in tutte le direzioni. Quindi, non solo i sospettati, anche dei loro generici contatti. Materia che, democraticamente, non è affidata a normali procedure di polizia, bensì deve essere ordinata da un giudice. 

La domanda che si pone guarda al risultato di questa pratica di contrasto al crimine. Veramente le indagini oggi hanno bisogno assoluto delle intercettazioni? Da una parte la facile risposta consiste nel fatto che, pur essendo uno strumento poco decisivo nella formulazione della prova, sussistono come misura di controllo. Perché privarsene? In più la debolezza del dibattito politico sta tutta nell’effetto che si dà alle parole – proprio come le interpretazioni nelle intercettazioni telefoniche. Chiunque osasse obiettare:

 - che non si sono arrestati i mafiosi con le intercettazioni bensì coi pentiti;

 - che il bilancio vero delle intercettazioni è scarsissimo: piuttosto sono state utilizzate come espediente per scagionarsi, una volta venuti a conoscenza di essere intercettati, con parole messe ad arte per convincere dell’innocenza dell’intercettato;

 - che si traducono in effetti come strumento da SPD tedesca durante il dominio comunista;

Così argomentando sarebbero da ridimensionare fortemente … Ma chiunque prende una posizione di questo genere è facilmente accusato di dare concessioni alla criminalità in genere. Quindi, il ritorno ai buoni comuni sentimenti morali che danno carta bianca a chi indaga. La consolatoria risposta che si dà più a sé stessi che alle contraddizioni del mondo suona quindi così: “nulla fare, nulla temere”.

Solo che il problema non è questo. Nelle evidenze storiche hanno da temere proprio quelli del “nulla fare”. Perché ciascuno nella sua conduzione di vita si rende ‘colpevole’ di piccole o grandi trasgressioni e non è edificante che arrivino alle orecchie di qualcuno e trasportino il soggetto intercettato al centro di una condizione di scacco in cui il rischio è quello del ricatto.

Nel dibattito, infatti, non è stato affrontato mai il conflitto con una forma di legge, pur lieve, della tutela della privacy. Quella misura che è garantita nel momento in cui si evidenziano le proprie preferenze su un qualsiasi portale sul web. La legge obbliga e tutela questa difesa del soggetto e del suo vissuto davanti al mondo, ma questa difesa diventa assai più debole davanti a un addetto che ascolta su mandato di un Pubblico Ministero. Quando, come e perché il diritto alla tutela degli affari propri deve essere cancellato in visione del presunto bene pubblico prevalente di un’ipotesi di reato su cui si fanno indagini?

Travaglio e i suoi seguaci dovrebbero rispondere su questo. Nessuno ipotizza il ritorno a Sherlock Holmes come ha detto in modo concitato in un’intervista televisiva. Le tecniche di indagini oggi vanno molto al di là delle intercettazioni telefoniche. Individuano la posizione di chiunque in ogni momento. Riescono a dire tutto sui gusti e sul fare dell’indagato in pochi secondi. Le intercettazioni, in cui chi sa parla sempre in codice, senza mai fare i nomi, riescono a dare un apporto? Aiuta poco a comprendere l'esempio delle intercettazioni a casa Moro durante il periodo di rapimento dello statista: eravamo in un'altra età geologica per la tecnologia che esprime oggi la telefonia. Non sono state storicamente determinanti nella lotta alla mafia che è avvenuta grazie ai pentiti e alla sofferta legge che incoraggiava questa pratica. All'argomento per cui sono servite nel Qatar gate non c'è risposta effettiva perché poco sappiamo di questa operazione di polizia. Non ci c'è la chiarezza dell'oggetto del dolo (perché corrompere quei deputati? perché proprio loro?), non c'è chiarezza su tutta la trama, non sappiamo come andrà a finire ...

Nondimeno aprire al fronte che cancella molte possibilità di intercettare si mostra come un’apertura eccessiva alla malavita, una concessione da evitare.

Sul tavolo appaiono assai di più le prerogative di un potere che la vera funzionalità di una di queste. IL vero problema si conferma come il conflitto tra poteri, non i problemi per quello che sono. Resteranno lì eternamente irrisolti e la tutela alle conversazioni sarà garantita molto più dall’inutilità delle stesse che dall’etica di non ascoltarle.