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26 febbraio '23 - Semiotica
Quando le riflessioni stanno a zero
Discutere a un anno dalla tentata invasione russa in Ucraina


“È una guerra contro la Russia, chi l’ha voluta non sa come uscirne”. Lo dice uno che se ne intende di geopolitica e di diritto internazionale. È Sergio Romano in un’intervista su Il Riformista, pubblicata il 24 febbraio. Doveva essere una guerra lampo e a un anno dall’inizio dell’occupazione russa ci si interroga sugli esiti che potrebbero essere lontanissimi, visti i finali delle guerre negli ultimi trent’anni sanguinosamente continuate senza vincitori e perdenti. La guerra che si paventa come infinita pone forti interrogativi sulle modalità per farla smettere. Il piano di pace tanto atteso formulato dalla Cina ha, secondo parere di tutti, deluso: appare come pura propaganda, un modo per dire al mondo di esserci quando gli atti consistenti sono la fornitura di droni alla Russia.

Nell’impostazione dell’ex diplomatico su IL Riformista si rovesciano i termini di questo conflitto. Secondo Romano si tratterebbe di una guerra contro la Russia, una sorta di antipatia ideologica condivisa tra americani, europei e oggettivi aggrediti: gli ucraini. In tal senso sarebbe uno strascico del Novecento e l’atto finale della Guerra Fredda attraverso questa guerra per procura.

Non servono i giochi di ingegneria politicistica per cui con la fine del tiranno Putin sarebbe scaturita la pace nel mondo. Piuttosto la riflessione deve guardare al ruolo codino dell’Unione Europea in questa levata di scudi contro la Russia, il fenomeno-italia non avrebbe potuto fare miracoli in questo contesto. Draghi stesso ha cercato di ritagliarsi un ruolo senza alcun successo. Ad un anno le stesse sanzioni hanno prodotto un ricompattamento con la società concreta russa nei confronti della loro nomenclatura. Ben lontani, quindi, dagli obiettivi di stremare la coscienza civile di quel paese per defenestrare Putin

A Varsavia Putin che rivendica l’allargamento della Nato a più di cinquanta paesi scopre la vera posta in gioco: un’alleanza militare strategica e rafforza l’idea di fare la guerra alla Russia. Aver mancato l’appuntamento del 1989 significa che gli States per affermare la necessità del loro comando hanno bisogno di inverare l’esistenza di un nemico. E per facilità il nemico è sempre lo stesso: la Russia.

Ascoltate le molte riflessioni sul rituale momento di dibattito dopo un anno di guerra l’inutilità scivola sul pericolo di una “guerra infinita”. L’infinità non esiste in una vita che per sua definizione è finita. Il peggior pericolo è la continuazione di questo equilibrio senza veri contraenti in cui continuano colpi militari a singhiozzo. Si evita di menzionare le stigmatizzazioni a codardia dei difensori della pace del disarmo rinverdendo un improbabile machismo militarista di alcuni nel nostro paese.

E su diversa stampa internazionale il tema che si pone guarda obiettivamente alla presenza nel mondo di un potenziale fronte rappresentato da India, molti paesi africani, America Latina che non riconoscono gli Stati Uniti come liberalizzatori né il valore retorico del primato dell’Occidente.

A un anno dalla guerra di invasione in Ucraina lo spunto di riflessione deve essere questo.