ilnardi.it
27 marzo '23 - Etica
Quarantuno Bis come nome della pena
A questo punto il regime carcerario deve essere annoverato come una vera e propria sentenza specifica


Non serve dimostrare che gli scritti fatti girare da Alfredo Cospito contenevano contenuti ideologici e nessun ordine di azioni violente. Non serve nemmeno evidenziare la condizione umana di cinque mesi di sciopero della fame. Inutile anche sottolineare che sollevandolo dallo specifico regime carcerario non si attenuerebbe la pena che comunque l’anarchico sta scontando per i suoi reati.

Il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha deciso che Alfredo Cospito deve rimanere al regime di 41bis. Uno degli argomenti del rifiuto si riferisce proprio allo strumento di lotta (lo sciopero della fame) che essendo finalizzato al convincimento dei giudici potrebbe essere annoverato come metodo di lotta efficace anche da altri. Come se fossero i modi di condurre una contesa ad essere determinanti per la loro riuscita.

Lo sciopero della fame serve affinché la protesta sia di dominio pubblico e il caso di un singolo diventi oggetto di discussione. Ma la scelta dei giudici deve guardare ai livelli di legittimità per cui sono state adottate delle misure coercitive. È chiaro che nel caso di Cospito queste misure non sussistono. Il 41bis pensato per modificare le condizioni detentive di organizzazioni criminali che potevano consentire all’arrestato di esercitare, anche in carcere, la sua azione criminale, non può applicarsi al caso degli anarchici perché ne è dimostrata l’assenza di un’organizzazione gerarchica.

Ci si chiede invece cosa succederebbe se Cospito perdesse la vita in carcere. Il sentimento di avversione allo Stato come forma organizzata troverebbe una conferma essendo riconosciuto nell'aspetto repressivo. Da un contestatore diverrebbe una vittima, la condizione diverrebbe incontrollabile.

Anche qui, però, la risposta del volto repressivo rifiuta di assecondare la richiesta e ciò per non apparire debole davanti alla possibilità di una protesta forte.

Ma la ragione per sollevare Cospito da quel regime speciale consiste nel fatto che non esistono le condizioni per applicarlo. Non ne è sorpreso neanche chi lo difende, l’avvocato ha infatti detto: “non confidavamo in alcun modo in questa iniziativa, rappresentava un passaggio obbligato per adire, anche sotto questo profilo, le giurisdizioni internazionali”.

C’è una consolazione: “l'ubicazione nel reparto ospedaliero dove si trova possono essere monitorate nel modo più attento" – si è espresso nella sentenza di rigetto.

Quel che manca nel nostro dibattito è la tematizzazione del problema. Non può infatti passare inosservato questo lato della legislazione carceraria del quale si è probabilmente abusato per ridurre i condannati in stato di deprivazione. Non si tratta, quindi, di metterli nell’impossibilità di comunicare quanto nella condizione di maggiore impoverimento esistenziale tanto da maledire lo stesso essere in vita. Condizioni che somigliano più alla tortura che alla condizione detentiva in uno Stato moderno. Di questo debbono discutere apertamente nella sfera della politica e delle decisioni. Ma questo non si va. Gli anarchici comunque non votano.