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16 dicembre '23 - Storia
Adieu!
Toni Negri sarà ricordato per l'inizio della crisi dei buoni rapporti tra magistratura e sinistra


La fine di un personaggio ne determina spesso la fortuna. Probabilmente non staremmo a parlare di Socrate se il governo democratico di Atene non lo avesse mandato a morte con grande scandalo degli intellettuali del tempo come di tutto il demos cittadino. Non avremmo Martin Lutero senza la bolla papale. Non avremmo Giordano Bruno senza la sua fine al rogo. Non avremmo Galileo Galilei senza la minaccia della Santa Inquisizione di passarlo ai ferri.
Ma mentre la fortuna di Giordano Bruno è determinata interamente dalla sua fine, Galileo Galilei non aveva bisogno del sacrificio per rimanere nella Storia. Le sue osservazioni e le ipotesi sulla bontà della teoria copernicana sarebbero vissute indipendentemente dalla sua fine eclatante. Sono idee di Karl Jaspers, e le condivido.
Probabilmente Jaspers le avrebbe rispolverate se si fosse trovato a dover dare la morale al corso di produzione di Antonio Negri che oggi ci ha lasciato.
Negri, come molti ai suoi tempi, ha vagheggiato la prossimità di una rivoluzione che avrebbe fatto saltare i rapporti gerarchici di potere legati alla preminenza del mercato, quindi della ripartizione in un'etica delle merci in ogni rapporto interindividuale che di rappresentanza sociale.
Masticando un po' di Scuola di Francoforte la sua tesi consisteva nel fatto che lo Stato garante di tutti in verità si riduceva al pianificatore di grandi concentrazioni economiche di potere nelle quali il soggetto sociale era sempre meno sociale e sempre meno soggetto rischiando di perdersi nell'egida delle merci come preminenti. Rinverdiva quindi il Marx dei Manoscritti Economico Filosofici per ritenere prossima la positiva liberazione di un propellente distruttivo di questi meccanismi. Ma fin qui, si dirà, potremmo riferirlo alle citazioni sommariamente indicate.
Toni Negri, come altri suoi coevi, riteneva il sindacato e il Partito Comunista Italiano come le braccia di questo piano che aveva messo in ginocchio il propellente rivoluzionario del proletariato. Ma questo grande potenziale si sarebbe liberato ben presto e i segnali si ravvisavano nei tanti fatti di cronaca presenti in mobilitazioni non regolate da alcuna forza organizzata.
C'era quindi bisogno di liberare questo potenziale distruttivo e consentirgli di affermarsi nel mondo. In mezzo c'erano dei riferimenti, anche non espliciti, a cose che avevano poco a che fare con la tradizione marxista.
In tal senso Toni Negri costituiva una sorta di Grande Vecchio del movimento nato con la forza di Autonomia Operaia e prima ancora di Potere Operaio. Beninteso, Negri non ne ha mai fatto parte in forma ufficiale. Mai e poi mai una qualifica di dirigente. 
Le sue lezioni erano ascoltate, stimate, non comprese da tanti bravi ragazzi in eskimo, sciarpa lunga, barba sfatta che vivevano la necessità di un impegno per dare espressione a "tanta rabbia che portavano dentro" (cit. Nanni Moretti, film Palombella Rossa). Ciascuno aveva una sua storia personale o una giustificazione esistenziale. Esisteva anche una moda che legittimava la voglia di esibire la propria "soggettività in rivolta". Il "ribellarsi è giusto" di Sartre diventava una pratica di vita vera e propria.
Difficile, ma neanche tanto, portare avanti questa veste esistenziale senza un modello. C'era Foucault in Francia. Sempre in Francia c'erano i Nuovi Filosofi che si erano imborghesiti.
In Italia c'era Toni Negri. Si guadagnava da vivere come professore universitario. Aveva accettato di sottostare alla trafila dei concorsi di Stato. Forse si era anche fatto raccomandare per ottenere quella cattedra dove insegnava Dottrina dello Stato. Quindi un uomo che "parlava strano", buono per i salotti, ma perfettamente integrato nel mondo dove nelle terrazze a la page (come recita bene il film di Ettore Scola) non poteva mancare il rivoluzionario apocalittico. E a questo serviva Toni Negri nel culturame nostrano fino a fine anni Settanta.
Il 7 aprile del 1979 arriva lo scossone. Si mette in moto il teorema Calogero. Sulla base di risibili informazioni, sulla lettura di qualche suo testo, si ritiene che Toni Negri sia a capo delle Brigate Rosse. Si arresta in modo clamoroso.
Subito parte lo sport preferito nei giornali nostrani: sbatti il mostro in prima pagina. La Repubblica che inseguiva un neo moderatismo socialdemocratico (ma questa ultima parola non si poteva usare al tempo) si schiera a favore del magistrato.
L'argomento ricorrente è: se hanno alzato questo polverone fino a sbattere in galera un signor nessuno un motivo deve pur esserci. E il motivo è segretato. Nessuno lo sa. Non ci sono testimoni oculari. Non ci sono documenti firmati di suo pugno. Non c'è alcuna sua partecipazione diretta a momenti criminali o criminosi. Però resta in galera. Il Pci in silenzio.
A far saltare il coperchio è Marco Pannella che lo candida alla Camera dei Deputati. Rossana Rossanda su Il Manifesto dichiara che voterà Toni Negri. Il professorino ce la fa. 
I big del giornalismo sgomitano per intervistarlo. Sia Enzo Biagi che Giorgio Bocca ottengono soddisfazioni. Ma portano in redazione dichiarazioni stancanti, chiacchiere del professorino col "suo pomodorino e il suo citriolino" (cit. Roberto Vecchioni, canzone Signor Giudice).
Ma quando è emessa la prima sentenza e per il docente inizia a tirare una brutta aria, l'anti-eroe Toni Negri fa le valige e se ne va a Parigi. Fine della storia (volutamente minuscola). Di nuovo interviste per esaltarne il livello di responsabilità per chi lo ha votato e per la verità che deve emergere, ma il professore di Verona non ha il coraggio nemmeno di dire che non ha fiducia nei magistrati italiani, che la sua libertà viene prima di qualsiasi fumosa battaglia ideale, che nei processi di cui lui si è fatto assertore concettuale è stato solo un derivato, un elemento portato da questa grande ondata quale è stata la protesta in tanti parti d'Europa avvenuta da metà anni Settanta fino alla fine.
Nel nostro paese è finita tragicamente con il rapimento e morte di Aldo Moro. E con lui la fine della possibilità di un modo di pensare la politica ma dello stesso condividere storie personali e relazioni. 
Toni Negri è stato un comprimario in un flusso dove i moltissimi protagonisti sono riusciti a cancellare la necessità del protagonismo di un individuo. Ma è durato poco.
Un fatto importante però la storia di Toni Negri lo denota. Con lui la magistratura ha iniziato a entrare in collisione con la politica, ma non per un'evidente malversazione: una sottrazione indebita di risorse pubbliche, corruzione o concussione. 
La magistratura è entrata nel vivo di un'elaborazione per reprimerla e condannarla prima ancora che fosse possibile esprimere una sentenza in base al diritto ordinario.
Credo che la vicenda Toni Negri insegni questo. Toni Negri invece non ha insegnato niente a nessuno.