L’elemento ricorrente nel tratteggiare le vicende delle
grandi personalità della Storia consiste nel fatto che dopo la loro morte l’ordine
che avevano costituito, in piedi grazie alla loro grande personalità, crollava
per cercare un nuovo ordine.
È la nota che ritroviamo in tutti i grandi della Storia:
Alessandro Magno, Giulio Cesare … Winston Churchill la cui fine è propiziata
dalla sconfitta alle elezioni che ne segna la morte politica … Tante storie
hanno questo in comune. Un grande della Storia è insostituibile e come tale lo
si può celebrare solo dopo un periodo di tempo perché successivamente alla fine
del suo corso nelle vicende umane si apre un profondo travaglio nel tentativo
di costruire un’altra cosa.
Se, come insistono i suoi epigoni, Berlusconi appartiene a
questa categoria umana speciale dei grandi della Storia non può trovare un
processo di consacrazione dopo morte. Anche le procedure per la Santità si
aprono attraverso processi e camere di decisioni che hanno bisogno di tempo e
riflessione profonda.
Ed è per questo che il partito di Forza Italia dovrebbe
lasciarsi alle spalle Silvio Berlusconi per concentrarsi su un proprio
processo, sulla lettura della nuova fase, sul fatto che la ducetta che taglia l’aria
a tutti non durerà in eterno, e quando arriverà questo tempo bisognerà essere
organizzati con una nuova “cosa” – come dicevano i comunisti di qualche decennio.
Il termine “cosa” viene riproposto nel senso dato dagli
idealisti tedeschi di primo Ottocento per evidenziare l’oggettualità di un
nuovo riferimento al quale non si possono e non si debbono dare connotati a
priori.
Quindi una riflessione sulla nuova fase. Sul rapporto dell’Italia
con l’Europa, su quanto convenga mostrarsi profondamente europeisti e quanto
esserlo sul serio, sul ristabilire dei rapporti di forza decisivi per la tenuta
di questo quadro politico, ma questo quadro politico non è l’unico che possa
essere pensato …
Berlusconi, al di là di tutto e di ogni travagliata detta e
scritta su di lui, ha regalato alla scena politica un concetto che non
esisteva: il centrodestra. Senza rodaggio quel soggetto è diventato governo del
paese. E l’ha fatto grazie all’invenzione di un predicato lasciato
colpevolmente in disuso: la libertà e il liberalismo – che sono concetti ben
distinti. La libertà nei comportamenti, anche istituzioni e nei rapporti
pubblico-privato, il liberalismo nel tentativo di liberarsi di qualche zavorra
dello statalismo lasciato come gravame dalla cultura scudocrociata in profonda
coesione con l’ideologia dell’accentramento derivata dall’Unione Sovietica.
Il soggetto politico inventato da Berlusconi deve archiviare
Berlusconi e mettere sulle spalle tutto questo. Dire “Bye bye!” a tutto questo.
Rilanciarsi come nuovi in una realtà nuova. Ma per questo c’è bisogno di gente
nuova ed è questo lo scoglio per il gioco della politica abituato a perpetrare
sé stesso.
La posta in gioco è altissima. Attiene alla sopravvivenza
non solo di Forza Italia, ma di un polo di centro a indirizzo liberale che non
può restare nelle mani di Matteo Renzi e Carlo Calenda che litigano come due
ragazzini.
Il 7 e l’8% dei sondaggi non dice niente. La doppia cifra – il dieci per cento come miraggio! – è poca
cosa. Bisogna lanciare il cuore oltre l’ostacolo e assumere il coraggio e la
follia di quel protagonista che oggi non c’è più. Il congresso nazionale del
23-24 febbraio a Roma deve focalizzare questo obiettivo imprescindibile. La kermesse
di ieri - “30 anni di Forza Italia, le Radici del futuro” – non pare
avvicinarsi a questo grande sprone.