Anche il mito conosce un passaggio dalla vita reale alla non
vita. Ed è quanto accade oggi per Alain
Delon. La sua persona fisicamente a noi presente aveva ottantotto anni e da
tempo aveva fatto sapere che non ne poteva più di questo mondo. E la cosa più toccante
era che le sue parole, allora, non apparivano quelle di un ottuagenario stanco.
Erano terribilmente impresse nella verità delle cose tanto che regalargli una
senescenza quieta doveva apparirgli la vendetta più insidiosa messa in opera da
un dio nemico.
Alain Delon era
legato oramai solo al suo cane e aveva dichiarato che come i grandi faraoni
avrebbe voluto essere seppellito con lui una volta che uno dei due fosse
dipartito.
Segni di una grande depressione, si dirà. Evidenze di una
vita vissuto pericolosamente e nella quale è uscito per caso o per opera di un
fato, a lui sempre favorevole, vincente.
Alain Delon aveva fatto parte della legione straniera, era
stato in combutta in questioni sordide, si era conquistato da vivere grazie a
una scaltrezza inusitata per un divo del cinema. Intellettualmente nullo, non
scimmiottava amicizie In, in quella Francia imbevuta dalla Rive Gauche e poi dal
Sessantotto e poi dai Nuovi Filosofi …
Tutte chiacchiere e distintivo per passare osservato al mondo. A lui non
servivano. Era sufficiente la sua presenza.
Eppure è protagonista in film tra i più grandi della sua
epoca. Innanzitutto l’insuperato Rocco e
i suoi Fratelli dove il suo ruolo si compre di una coltre di sublime, un’immagine
di santità laica inusitata per un ruolo maschile. Immenso, sempre con Luchino Visconti alla regia ne Il
Gattopardo dove rappresenta quel nuovo tollerato e forse costruito perché tutto
resti così come è.
E la maledizione della sua figura, la ragione per esser
vituperato da un pubblico di intellettuali di sinistra, era forse proprio in
questo. Lo stesso nel suo ambiente. Tra i ricordi le sue amiche di sempre,
Brigitte Bardot e Romy Schneider, che lo chiamavano imbufalite per qualche
dichiarazione incauta e scorretta sotto il profilo culturaldemocratico. Raccontano che lui rispondeva divertito che
quelle cose le aveva dette per gioco ed era divertente per lui vedere tanta
gente arrabbiata per una frase detta in modo estemporaneo e immediatamente
riportata.
Va assolutamente ricordato nella sua opera cinematografica
La Piscina con Romy Schneider e Jane Birkin. Due dee! Ma per la prima
volta nella storia del cinema chi emergeva era lui, solo lui.
Tanti e tanti altri film che sarebbe lungagginoso ricordare.
Quasi tutti però con valore strettamente momentaneo e legato all’immediato
divertimento. Da dimenticare anche film celebrati come L’Ultima Notte di Quieta,
dove si gioca il massimo della sua allure fascinosa per tirare avanti in una
narrazione senza alcun sfondo esistenziale, diversamente da quanto appariva
nelle premesse. Alain Delon era anche il regno del Kitsch.
Dal canto suo non aveva bisogno di rappresentare alcuna
trasgressione, come era per Helmut Berger e fu per Marlon Brando. Era lui
stesso una trasgressione. Innanzitutto per i suoi trascorsi poco chiari e forse
anche molto mitizzati in ambienti sordidi. L’amicizia con gli ambienti
malfamati, tra palestre di pugilato e la promozione di match ad alto livello. Fu anche amico di Carlos Monzon, considerato
uno dei più grandi pugili dei mesi medi di tutti i tempi. Un giorno Monzon gli
disse: “sono stato a letto con tua moglie, qualche problema?” Pare che Delon
incassasse con molto fair play. Leggendaria invece una foto in cui appare in
compagnia di Mick Jagger e della moglie. Lei civetta con Alain Delon e Jagger
sta da una parte come uno sfigato qualsiasi. Si capisce immediatamente la
differenza tra un mito vero e uno apparente.
Tanta luce propria si era spenta da tanto tempo, indipendentemente dal superamento nel corso di questa vita reale. Restare ancora tra noi sarebbe stato un supplizio troppo grande per un uomo vissuto nel mito, ma anche pericolosamente. Il saluto a lui è quello che si dà alla grandezza del cinema che non c’è più.