Dovrà trovare uno spazio tutto suo nella Storia del cinema, David Lynch. E sarà molto curioso vedere come potrà essere collocato, se come un regista di un filone – e non si capisce bene quale – oppure semplicemente un’espressione eloquente della sua generazione. Questo vale sia per le sue grandi innovazione in grado di dargli il nome e la risonanza - Elephant Man e Twin Peaks, che per i suoi flop – Dune.
Tutti hanno in comune quel dato dell’inquadratura
devastante, la stessa oramai in grande uso tra i registi a la page. Ma anche
quel dettaglio che serve a disorientare lo spettatore, a dargli una deviazione
orticante tanto da rovesciargli totalmente il senso della scena diretta a dire
ben altro.
Solo per fare un esempio possiamo annoverare un piccolo
cameo che si riserva nella serie di telefilm di Twin Peaks dove lui stesso
recita facendo la parte dell’investigatore quasi totalmente sordo. Si ostina a
parlare ad un volume altissimo di voce. Una scena di passaggio, senza rilevante
importanza, aggiunge forte inquietudine al contesto inquietante ma comunque
gestito nei ritmi della narrazione.
Lo stesso avvenne con Elephant Man che lo portò al grande
successo, dove non era sufficiente trattare la storia di un uomo orrendo e
strumentalizzato per diventare un’attrazione per tanti visitatori. La
soffocante condizione della dimensione fisica è poca cosa davanti alla
sofferenza costante sopportata dall’uomo.
Ma il capolavoro della rappresentazione di questa
inquietudine orticante avviene con Muholland Driver. Film veramente spossante
dove la storia dal carattere giallesco offre gli aspetti surreali di alcuni
suoi protagonisti secondari. Solo alcuni. Non si tratta di una dimensione
utilizzata sistematicamente. Quasi a dire che il lato mostruoso di alcune
situazione e persone riusciamo a percepirlo solo se poniamo la nostra attenzione
su di loro.
Kafkiana quell’insistenza sulla ripresa di uno scarafaggio
rovesciato che serve solamente da fare da contorno a una scena in campo aperto
diretta a dire ben altro. Ma su quell’animale a cui è impossibile ritrovare la
posizione naturale e alla sua prevedibile angoscia si dirotta tutta l’attenzione
dello spettatore.
È il cinema di David Lynch teso a non fermarsi alla storia
anche nelle sue angolature più intricate. Il lato inquietante della vita,
sembra volerci dire, avviene quando ci fermiamo un attimo e decidiamo di
concentrarci su un particolare.
Esagera in questa ricerca in film come Dune e Blue Velvet
ricordati come delle autentiche cantonate, tali da costringerlo a dover
risalire la china con trame e proposte più convincenti per il grande pubblico.
Sicuramente un grande per la generazione che lo ha ammirato
ma è altrettanto certa la sua assenza dall’Olimpo dei grandissimi nella Storia
del Cinema. Ed è meglio così. Si sarebbe annoiato. E poi costringerebbe gli
ammiratori a spiegare il motivo di questo ingresso nell’Empireo. Sicuramente
quanto è avvenuto dopo nella storia del cinema aiuterà a giudicarlo con
maggiore clemenza.
Gli sia lieve la terra.