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09 luglio '12 - dark
La Cura. A Roma un concerto che cancella il proprio passaggio
Il 9 luglio tocca la passerella romana ai The Cure a Capannelle. Tra wurstel, birra e segni di momentanea umana presenza

I The Cure non saranno ricordati negli Annales della musica. Tra ricercatezze, ricerca e nuovo classicismo ben mascherato Robert Smith e amici fanno di tutto per tenere il profilo basso. E ci riescono perfettaamente. Eppure sono tra i più grandi professionisti che la musica diretta al pubblico giovanile abbia mai avuto. eppure hanno prodotto brani e canzone che rimarrranno nella classifica reale dei più grandi capolavori degli ultimi cinquanta anni.
The Cure soddisfano il bisogno colto di un pubblico molto vasto che non conosce e non capisce nemmeno - nella grande maggioranza dei casi - il significato heideggeriano del termine: La Cura.
Eppure quasi a dispetto di loro stessi, esistono. Non si può dire che siano stati gli iniziatori di una tendenza: Dark, stile decandente, un certo uso dell'eelettronica li hanno preceduti. Nondimeno la loro esistenza, a dispetto del tempo quindi delle mode che si dileguano, lascia quei rari gioielli da incastonare nel firmamento costituito dal buio di originalità che ha caratterizzato tutto il Novecento.
Quasi non volendo, costituiscono la cura dal male originario costituito dalla crisi della modernità: la mancanza di alcuno spunto fondativo. Questo vuoto di temporalità non può far a meno di chiedere soccorso alle esistenze reali immediatamente tangibili, nella consapevole certezza che si costruisce una fondazione imperitura su qualcosa che invece è fuggevole, passeggero, quasi vacanziero. La cura quindi non può consistere nella compassionevole aderenza a un mondo che fu né al darsi delle cose semplicemente presenti. La cura sta nella consapevolezza del buio e della rara allegria in alcuni momenti di scema gioia.
Questa la lezione dei The Cure in musica.