Avere Niki Lauda tra i miti mi ha salvato dal comunismo: dal non cedere definitivamente alla teoresi collettivistica e ugualitaria per cui se non eri in un contesto di cose non eri. Mi ha insegnato che ci può essere un invidividualismo che opera la sintesi del sistema, che essere avanti è più importante dell'essere primi, che bisogna interpretare il tutto perché possa volgere al meglio. "Che uno è meglio di molti!"
Lo conobbi in due
occasioni. La prima, precedentemente all'incidente, in una
manifestazione Fiat, apparve con la sua aria scanzonata e con un fare
un po' imbranato. Sembrava più emozionato di me. Ci disse entusiasta
del suo lavoro e del suo mondo: "io pe' Ferrari corro anche
senza moneta".
L'altra
volta eravamo più grandi, a Monza, prima del Gran Premio, era metà
anni Ottanta, lui stava con Mac Laren. Ci aggiravamo come scemi tra i
paddock e quasi non ci interessavano le belle donne che giravano.
Ciascuno andava furtivo per la sua destinazione, c'era più un'aria
da mercato che corsaiola.
Avevamo
già rinunciato quando da una roulettes percepisco una presenza
dietro. Era lui. Quel volto segnato. Aveva un carisma che lasciava
senza fiato. IL mio amico gli chiese l'autografo sul pacchetto di
sigarette Marlboro. Lui storse la bocca di sdegno. Ma Marlboro era lo
sponsor ufficiale di Mac Laren!
Lauda e Hunt. Due archetipi agli antipodi. Forse la gara vera fu tutta lì. Ma francamente tra i due non c'era gara. Hunt vinse un mondiale su Lauda per l'incidente famoso ma soprattutto per un broglio nell'assegnazione dei punti.
Di lui facevano impressioni le frasi taglienti, il non idulgere alla cortigianeria dei gazzettieri. Quando provocatoriamente gli fu chiesto se lui si sarebbe fermato per Merzario lui rispose altrettanto provocatoriamente: "sono pagato per correre non per fermarmi". Avevano da scrivere i piccoli sciacalli della parola. Non capivano però che così facendo raccoglievano solo il fumus di una vicenda nefanda e terribile che fu il Nurburgring. Lauda glielo stava dicendo a suo modo.