Si
scateneranno ora le lodi temperate dalle attenuazioni di cui la critica feroce
che lo ha accompagnato in vita. Si cercherà qui a pochi minuti dalla sua
dipartita di evidenziarne in modo distaccato le res gestae.
Tutti sanno
che un modo diverso di espressione televisiva nacque con le sue televisioni. Ma
nello scardinare il monopolio della televisione di Stato - con l’operazione culturale di porre Milano al centro d’Italia - si
mobilitarono all’assalto dell’emittenza risorse pubblicitarie tanto da
costituire un fattore di crescita costitutivo di quei spumeggianti anni Ottana
che qualcuno ricorda con nostalgia. Finito quel mondo, finito il sistema di
poteri e di alleanze in grado di tenerlo in piedi, era chiaro si dovesse
diventare sistema.
Nasce quindi
l’ingresso in politica nel ruolo di massima rappresentanza. Una bestemmia
finora. Un nodo scoperto per un paese che non aveva mai normato alcunché sulle
incompatibilità. E non lo fece sostanzialmente neanche in questa situazione
nuova in cui il padrone di buona parte delle emittenti televisive e dell’editoria
italiana si proponeva e diventava presidente del Consiglio.
Ma il dato
storico di questa grande svolta del 1994 consistette nello sdoganare il
Movimento Sociale Italiano, stretto sempre in ruolo di opposizione che a volte
diventava funzionale alla Dc, in un vero e proprio partito di governo. L’odore
di potere fatto presagire al nuovo mondo in creazione riuscì quindi a combinare
i nazionalisti dell’MSI coi secessionisti della Lega di Bossi. In mezzo, il
nuovo soggetto politico. Forza Italia e la sua immane capacità di interpretare
il nuovo centrismo che al di là di Tangentopoli stentava da anni a riconoscersi
nella vecchia Dc. Viene risvegliato quindi il pensiero liberale e sul
liberalismo di massa inventò la nuova teoresi politica pensata in modo
strumentale a sé. Perché in questa rete di alleanze che ricomprendevano anche i
due pezzi della vecchia Dc (Udc e Cdu) tutto doveva essere a lui funzionale.
Chiaramente
in Italia non si conobbe una rivoluzione liberale. Tutt’altro. Ma i geni del
liberalismo ebbero modo comunque di germinare e sollecitare la necessità di uno
spirito di alleanze nuove, in grado di superare antichi schematismi. Nessuna
dimissione delle competenze dello Stato centrale, nessun rafforzamento della
libera impresa se non quello che nasceva dalla forza saputa sprigionare dall’economica
reale. Neanche lontani gli echi dall’Inghilterra della Thatcher o da Ronald
Reagan. Quanto temuto dalla sinistra e dal sindacato non avvenne. Ci fu invece
una ridda di letteratura popolare, cinematografia e fermento mosso in
opposizione all’affermazione del Caimano. Una condizione che non poteva non
ledere le alleanze tra i cosiddetti neoliberali, nazionalisti e secessionisti.
Il governo nato nel ’94 cadde nel ’96 e, pur senza maggioranza dei voti, si
formò un governo di centrosinistra, antagonista al Caimano, col compromesso
storico fatto dal ex Dc ed ex Pci da una parte, che potette contare sulla
desistenza dei comunisti irriducibili di Bertinotti. Nacque il fenomeno
politico, suo antagonista, Romano Prodi. Alleanza, anche questa, che non poteva
durare. Nel ’96 crisi coi comunisti ed ingresso di Massimo D’Alema, suo
peggiore antagonista. Anche lì, equilibrio tenue. Due anni dopo va a casa per
portare Giuliano Amato alla presidenza del Consiglio e traghettare il paese
alle elezioni. E fu il 2001 il vero anno del trionfo. 2006, l’anno della
sconfitta per trentamila voti in meno. Ma il 2008 il grande ritorno. Anche in
quel momento una grande mobilitazione contro: il Corriere della Sera fece endorsement perché si votasse per il
centrosinistra. Nuovamente vincente. A scuoterlo però la grande crisi mondiale
del 2011, quella dei debiti sub prime che trascinò con sé buona parte dell’economia
statunitense e rischiava di far crollare le borse di tutto il mondo. Una crisi
davanti la quale da più parti gli si chiese di fare un passo indietro. Alla
resistenza nel proteggere l’avamposto di potere oramai incrinato dalla crisi,
arrivò l’aggressione alle sue risorse economiche avvenuto attraverso l’attacco
alle sue imprese in borsa. Le dimissioni allora furono simultanee.
Ma l’uscita
dalla scena politica avvenne due anni dopo con la sentenza di Cassazione che
confermava la pena inflitta per evasione delle tasse. Dovette uscire dal Senato
per rientrarci, scontata la pena ai servizi sociali, ad elezione avvenuta nel
settembre 2022. Un ritorno che non fu teatrale come quello che ci si aspettava.
L’uomo non era chiaramente quello di una volta. E tutta un’altra era la
coalizione vincente del centrodestra da lui stesso inventato come categoria
politica. Non c’era lui e nemmeno i suoi. Il suo mondo era tramontato anche se
era in virtù della sua azione politica che era ancora in piedi.
Parallelo a
queste due storie, quella di imprenditore e quella politica, ce ne sono altre
due. Quella delle incriminazioni della magistratura e l’altra di patron del
Milan con cui è arrivato a sei coppe dei campioni e a cinque scudetti.
È stato
accusato di essere continuità con organizzazioni mafiose, processato di
traffico di influenze, di evasione dei tributi allo Stato e di favoreggiamento
alla prostituzione. Capi di imputazione dai quali ne è uscito in buona parte
grazie alla prescrizione ma anche con formula piena.
Nel bene e
nel male, relativo alla mente di chi giudica, ha rappresentato un’intera fase
della storia italiana. E le è sopravvissuto. Il mondo attuale, nato dalla sua
progenie, non poteva più somigliargli. La sua uscita di scena irrompe in un
copione che aveva smesso di scrivere oramai da qualche anno. Probabilmente,
senza le acrimonie che lo hanno da sempre accompagnato, avrà voluto tutti
quanti con lui per un grande applauso al momento in cui è calato il sipario.